Arrivo a Mozirje - la mia solitudine
La giornata si è infilata nella mia vita come un ago indolore, dalla cui estrema appendice esce lieve e continuo un nutrimento che il mio corpo non è in grado di produrre.
Disteso a letto sento le complicazioni della giornata pesarmi come un caldo cappotto d'inverno: la valigia con l'indispensabile superfluo, le procedure di lavoro da ricontrollare, l'alzare lo sguardo sugli amici quasi partissi con l'orrore di tornare prima del tempo.
Ho cercato di allungare i miei sensi su di un paese buio e straniero, giù verso il tramestio delle acque, lassù tra i campanili in vista, in mezzo all'eco di giochi infantili, in alto a guardar la luna e le stelle, coreografica rappresentazione dell'orientamento notturno.
Abbandono le mie forze al letto e le lenzuola accatastate di lato celano l'animo di chi nudo ostenta con orgoglio la propria solitudine.
La vigilia - le lanterne di Tantalo
Sono arrivati Fulvio e Paolo, i miei compagni di squadra. Mi guardo attorno, cerco di rendere l'ambiente più ospitale, ma con la mia fantasia: abbasso la temperatura, do all'hotel una rimessa a nuovo, preparo un parcheggio all'ombra, faccio del solletico all'addetto alla reception; poi mi accorgo che fantasia e realtà si equivalgono, che niente potrei cambiare in meglio; da quest'istante in poi ci abiterà lo spirito dell'orientista e non mancheranno gli spunti, tra la locazione della camera, la posizione della luna, il profilo delle colline ceniamo in un'anonima gostilna che diventa palcoscenico per una sequenza di portate tra mappe e regolamenti sparsi sul tavolo. Sento stringermi lo stomaco per una gara che si nasconde nel buio di una notte pesante di pioggia, anche se di gocce alla fine ne scenderanno poche, tutto rimane sospeso, come un'orchestra che si sta accordando per la prima. Ci addormentiamo, immaginando di sognare lanterne irraggiungibili, un po' come le mele di Tantalo.
Prima gara - la morsa di fango
Tra poco mi sveglierò. Me ne sto fermo come in un sonno profondo, fingendo; mi balena l'idea che l'immobilità mi ristori quando la mia mente è in folle corsa verso l'ultima lanterna; ma il pensiero stanca, l'idea di vincere, di perdere, di un infortunio, della pioggia, di un caldo torrido, di una temperatura che si abbassi improvvisamente, hanno su di me l'effetto di un sogno che sembra reale; ascolto il tempo, non sento l'aria fresca entrare dalla finestra, eppure le lenzuola che a mia insaputa mi avvolgono raccontano di una realtà che si è fatta sogno.
Ho aperto gli occhi solamente a quindici secondi dalla mia partenza, piove a dirotto, le mani sono di ghiaccio, le scarpe inzuppate, la testa amplifica ogni singola goccia. Corro, scivolo, cammino, mi fermo, cosa che itero in un'infinita serie a cui inframmezzo speranza, soddisfazione e delusione. Il traguardo mi accoglie in una morsa di fango, ma è una mera illusione di forza: ho finito.
Seconda gara - l'ultimo pensiero
La mano è sulla tenda, il braccio proteso, il corpo leggermente sollevato dal letto: nuvole come una bianca coperta sul verde appena illuminato dal chiarore del mattino; mi esce un flebile "oh no", che come pioggia Paolo interpreta, in uno stato di immobile attenzione; c'è poco da correggerlo: la sostanza non cambia, anche oggi il sole sarà la nostra ultima lanterna. Di lì a poco però la realtà cambia strada, la nebbia lentamente si dirada, l'azzurro e il verde si toccano e il nostro spirito battagliero si accende vermiglione per completare il colorato quadro.
Oggi si gareggia vicino e ad un'ora più tarda di ieri, ci rilassiamo con più attenzione alle bancherelle, mi attirano degli orecchini-lanterna e per una volta non penso a me stesso.
Non posso scrivere della gara, mi servirebbero letti di pagine bianche per dare spazio ai fiumi di parole che ne sono seguiti. Desidero addormentarmi; e mentre mi lascio avvolgere dal torpore, cerco senza trovarlo un ultimo pensiero.
[Fabio]
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