27 dicembre 2006

Un capodanno diverso

Un capodanno diverso.

Si avvicina il capodanno che da alla testa, quello pieno di bollicine fatte di se ma forse si potrebbe fare… le decisioni più difficili si arrestano davanti al più importante 31 dell’anno e fanno l’inchino a quella su come trascorrere nel modo migliore questo evento per grandi e piccini, ma non per tutti. Si lavora, si fa la spesa, ci si diletta facendo la spola dagli amici di sempre, ma il pensiero “Cosa faremo quest’ultimo dell’anno” come fossimo dei condannati alla felicità prende sempre più spazio dentro la nostra testa. Passiamo in rassegna tutti i posti che abbiamo conosciuto, ci mettiamo al fianco di ogni nostro amico, ci sforziamo si sentire il profumo del menu, ma è come rivedere lo stesso film una volta in più. Che fare? Mettiamoci il cappotto, i guanti, il berretto, prendiamo il nostro portafogli e incamminiamoci dentro la nostra voglia d’essere, che in qualche posto ci porterà. Quello che abbiamo dentro non ha spesso un’immagine precisa nella realtà che sta fuori di noi. Potremmo pensare al posto più caldo del mondo e trovarci a camminare lungo qualche lungomare battuto dal vento, potremmo vedere la luce perfino lì dove ce n’è troppa. Ma è dove vogliamo essere il punto da cui partire, non dove siamo. Allora… dove vogliamo essere?

Un capodanno diverso.

Sarà l’età, ma il tempo sembra avere due marce differenti. Fuori ha un suo scorrere inesorabile, inarrestabile, mentre dentro di noi fa quello che vuole: accelera, per poi fermarsi e tornare indietro. Un giorno ci sentiamo vecchi per poi saltellare con gli arti che la senilità ha tenuto troppo tempo ferme. Sono seduto con le gambe che fanno quello che vogliono, sotto la sedia, sotto il tavolo, con una scarpa in due, distese su una panca, sotto una coscia, in continuo movimento e le mani su questa tastiera portatile a digitare frammenti di vita vissuta, a ricostruire quello che sembrava perduto per sempre. Quando scrivo effettivamente rimango senza parole, per cosa la vita ha saputo darmi e per come l’ho sprecata. Troppe scelte tutte uguali, troppe strade fatte e rifatte come fossero state le uniche. Non dicevano forse che tutte le strade portano a…? Una vita che come l’acqua di un mulino da presepe passa e ripassa sempre uguale, nessuna cosa fuori posto che non lo sia stata già, un puzzle fatto e disfatto e rifatto sempre a partire dai bordi, una tecnica che si affina per diventare stile di vita per uno spettacolo che non vuole sorprese, il pubblico – noi stessi – che vogliamo affascinare senza deludere, squadra vincente non si cambia.

Un capodanno diverso.

È la vigilia di Natale e l’uomo che ridiventa bambino non è la solita trama per fare cassetta. Arrivo a pensare che questo incarnarsi per l’ennesima volta, possa non piacermi più come una volta. E ne sono felice. Vuol dire che qualche cosa è cambiato, che il messaggio sa provocare e chi è provocato sa farsi provocare, si mette in gioco a costo di non giocare. Se non fossi qui a parlarne sarei probabilmente sul solito treno in arrivo al binario 31. Eppure questa volta non sono salito. La calca della gente mi spinge a non starmene fermo, ma a muovermi, ad andare da qualche parte, a prendere una decisione. Non so cosa farò l’ultimo dell’anno. Ma non sarà un dejavù. Su qualunque cosa mi troverò – treno, aereo, mare, montagna, deserto, piazza – sarò senza biglietto, nessuna premeditazione, nessuna aspettativa, nessuna prenotazione, nessun posto numerato, solo attaccato alla mia ombra. Questo sarà il mio posto.

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